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Il complesso pievano di Cercina si caratterizza per la sua bellezza
esterna armoniosa e la serenità mistica che permea il suo interno,
evocando antiche presenze. È uno dei luoghi di maggior pregio artistico
e architettonico nel contado fiorentino. La pieve, costruita in
filaretto di pietra accapezzata, è una chiesa romanica di notevole
interesse, situata su un dolce declivio in posizione privilegiata
ma ben integrata nel paesaggio circostante.
Fig.1
La pieve é stata costruita in epoca remota, e sebbene non ci sia una
datazione certa, è menzionata in alcuni documenti alto medievali come
la “Charta
Judicati”(1),
con il nome di Sancte Jesuralem (probabilmente S. Croce in Gerusalemme).
Tale pergamena, datata in un primo momento da tutti gli storici
(2)
all'anno 774 (1° anno del Regno di Carlo Magno in Italia)
“Regnante dom. Karolus divina favente clementia rex, anno
regnii eius It(a)lia primo”, venne successivamente
interpretata con maggiore rigore dal paleografo Piattoli che attraverso
la puntuale collocazione dell'indizione “. . . die nono
m(ensis) iulius, ind(ictione) tertia decima, feliciter”
nonché da altri inoppugnabili segni, attribuì tale anno al primo del
Regno di Carlo III “Il Grosso”, incoronato a
Ravenna il 6 Gennaio 880.
Tuttavia, la differenza non è significativa dal punto di vista storico,
ma è importante per confermare la presenza della pieve già
in quel determinato anno. Si presume che questa importante entità
religiosa sia stata costruita nel corso del VIII secolo, durante un
periodo di grande fervore religioso sotto la dominazione Longobarda.
Si ipotizza, infatti, che la pieve fosse stata messa addirittura
sotto la “padronanza” del Monastero longobardo di
Nanantola(3), come la chiesa di
S. Silvestro a Ruffignano fondata dallo stesso Monastero
(4).
La pieve é stata menzionata in numerosi atti e privilegi con il nome
di S. Jerusalem a Cersino
(5), ma solo nel 1050,
con atto del 25 Luglio, si parla per la prima volta di S. Andrea a Cersino(6).
Non è stato possibile individuare le cause di questa variazione di
denominazione, né se la chiesa sia la stessa.
È verosimile (7)
che nel corso dell'XI secolo, la pieve, molto malandata nelle sue
strutture, abbia subito restauri e modifiche tali da conferirle
l'aspetto che ancora oggi possiamo ammirare. Successivamente, nel
corso della sua storia, il complesso religioso ha subito molti altri
interventi alle proprie strutture, ma fortunatamente nessuno di essi ha
compromesso in modo irreversibile l'originaria architettura dell'XI
secolo.
Fig.2
Il valore della pieve si manifesta non solo attraverso le sue peculiarità artistiche e architettoniche,
ma anche nel suo significato sociale e amministrativo. Situata al di fuori dell'influenza dominante del
castello dei Catellini a Castiglione, essa ha assunto, come era consuetudine nell'XI secolo, le funzioni
un tempo attribuite al “pagus” romano. La presenza contemporanea nella media e alta
Valle del Terzolle delle due entità medievali tipiche, ossia la pieve di S. Andrea e il castello di
Castiglione, suggerisce che il contesto circostante avesse acquisito, tra il X e l'XI secolo, una certa
rilevanza in termini di dimensioni e insediamenti. Questo territorio evidenziava un'organizzazione sociale
e un assetto urbanistico, sebbene elementari, sorretti da una struttura autarchica tipica dell'epoca storica.
Inoltre, tra l'XI e il XII secolo, si osserva un insieme di fenomeni interconnessi che avviano il disfacimento
del sistema curtense, segnando l'emergere del sistema mezzadrile. Una delle caratteristiche più significative
di questa nuova gestione del territorio è l'apparizione delle abitazioni dei coloni sui terreni coltivabili.
Questa connessione tra il colono e il suolo è talmente profonda da far sì che, in caso di vendita, la famiglia
colonica stessa venga considerata parte integrante del bene immobile.
In questo generale clima di trasformazioni e di evoluzioni economiche e sociali, la
Valle del Terzolle ed in genere tutta la fascia medio collinare
sovrastante la pianura fiorentina diviene il centro di un'intensa
attività agricola.
Prevalentemente lungo il torrente maggiore sorgono i primi mulini per
la trasformazione dei prodotti raccolti, ed essi riteniamo che
abbiano rappresentato, oltreché una vera e propria attività
economica-commerciale, anche un importante momento di qualificazione
per la tecnologia rurale dell'epoca successiva. L'erezione di alcune
case torre, ma soprattutto la trasformazione e la riedificazione
delle chiese plebane di S. Stefano in Pane(8)
e di Cercina(9) e la costituzione di
un notevole numero di chiese loro suffraganee, sono la conferma
dell'importanza a cui tali plebati assurgono nel periodo.
Entro i confini amministrativi del plebato di Cercina, sotto il diretto
controllo della pieve di S. Andrea, sorgono spesso all'interno di
preesistenti nuclei insediativi (curtis, vici, casali e ville)
le cosiddette chiese suffraganee di(10)
A questi nuovi organismi sono demandati compiti amministrativi e
religiosi con esclusione della imposizione del Battesimo e della
sepoltura, rimasti di competenza assoluta della pieve. Intorno ad
essi si organizzano successivamente i “popoli”
che in un prossimo futuro rappresenteranno il nucleo formale per
i sorgenti Comuni rurali. Poco dopo, a tali presenze religiose,
si aggiunsero anche due monasteri femminili:
1) Notizie storiche e vicende costruttive della pieve di S.Andrea a
Cercina
Sul lato destro del prospetto si trova la “Canonica”
con un bel chiostro al suo interno, il cui tetto è sorretto da
armoniose colonnine corinzie. Il campanile, audace e originale, ha
una sezione pressoché quadrata e si allarga verso la sommità attraverso
quattro ricorsi di pietra aggettanti. Questo crea una cella campanaria
più ampia della base, ai cui lati originariamente si aprivano quattro
bifore con arco a tutto sesto. Attualmente solo una di esse è stata
reinserita nel campanile, ma in posizione più bassa, sul lato nord.
due romitori:
tre oratori:
Come entità ecclesiastiche, alcune di queste modeste chiesette suffraganee sono oggi scomparse o per demolizione o perché inglobate in successive costruzioni rurali (S. Margherita a Cercina Vecchia, S. Maria a Urbana e S. Martino a Bugliano o Bulliano). Altre, invece, mantenendo attiva la funzione pastorale, sono rimaste pressoché intatte anche nella loro originale struttura architettonica (S. Michele a Castiglione e S. Jacopo a Ceppeto); di altra infine restano solo ruderi, per quanto questi siano ancora significativi sotto il profilo architettonico (S. Maria a Starniano).
In generale, l'analisi della struttura di queste chiesette rivela che presentavano un impianto base molto semplice e di dimensioni contenute, mediamente circa 8 metri di larghezza e 15 metri di lunghezza. Erano caratterizzate da un'unica navata, con muri perimetrali costruiti principalmente in filaretto di pietra alberese, mentre il pavimento era anch'esso in pietra alberese. Spesso, la pianta terminava con un'abside semicircolare e, sia all'interno che all'esterno, originariamente erano prive di decorazioni cromatiche; solo in epoche successive si cominciarono a dipingere gli interni. La copertura, prevalentemente a capanna con due falde, era sostenuta da travi in legno e rivestita con coppi e tegoli, sotto i quali si posavano, tra i correnti, pianelle murate con malta di calce aerea. La luce all'interno era garantita da un'apertura di tipo “occhio”, situata nel prospetto principale, sopra il portale d'ingresso, insieme a piccole aperture alte nei muri laterali. Si osserva frequentemente la presenza di un gradone in pietra lungo il prospetto principale, usato come sedile per i fedeli e i viandanti. Il campanile, a forma di “vela”, era creato rialzando una parte del muro tergale e presentava un'apertura con arco a tutto sesto, i cui conci erano realizzati in pietra arenaria scura, talvolta alternando conci bianchi e neri verdastri, unico elemento di variazione cromatica; in questo spazio generalmente si trovava una sola campana.
In un siffatto contesto storico, la pieve di Cercina, controllando ben 12 unità minori fra chiese Suffraganee, romitori, oratori e monasteri, estendeva la propria giurisdizione su tutta la parte medio-alta della Valle del Terzolle, come attestano sia il Censimento Catastale dell'anno 1427, sia la successiva cartografia storica (11). Proprio da essa è possibile rilevare il notevole sviluppo della rete stradale nata in appoggio alla consistente formazione poderale ed alla presenza di un buon numero di mulini sorti lungo il corso del Torrente Terzolle e dei fossi minori. La superficie della sua giurisdizione nel XIX secolo, che crediamo pressoché invariata rispetto alle epoche precedenti, era di ben 2.520.000 metri quadrati, costituenti quarantadue poderi. Vi abitavano 96 famiglie composte in media da otto individui ciascuna(12).
Altro aspetto importante per la pieve fu il Patronato della nobile e temibile famiglia dei Catellini da Castiglione (13), proprietaria di vaste possessioni territoriali nelle Valli del Terzolle e del Mugnone, del preminente castello di Castiglione e dello scomparso castello di Cercina Vecchia (14). Con tale patronato i Catellini oltre ad offrire una garanzia di tipo economico contribuirono notevolmente al miglioramento artistico del complesso pievano, ampliandolo e arricchendolo di numerose e pregevoli opere d'arte fra le quali va ricordato il Sepolcreto, posto alla sinistra della porta principale, ove è sepolto Taddeo di Tieri. Su di esso, assieme all'arme dei Catellini, campeggia la scritta “Taddei Tieri Dietisalvi et Filiorum A.D. MCCXLIIII”.
L'importanza e la fama della pieve di Cercina era ed è tutt'ora dovuta in gran parte all'Immagine della Madonna che attualmente è collocata nell'absidiola della navata sinistra dell'Altare Maggiore, posta all'interno di un tabernacolo di legno dorato del XVI secolo. Si tratta di un gruppo ligneo policromo rappresentante la Madonna seduta su un trono con il Bambino sulle ginocchia, scolpito frontalmente e semi alzato. La Vergine tiene il Bambino con la mano sinistra, sostenendolo al torace, e indossa un vestito lungo e un mantello che le copre la testa e delinea la figura. Il Bambino Gesù è vestito con una tunica e tiene un rondinino nella mano sinistra e alza la mano destra in atto benedicente. Questa modalità di rappresentazione della Vergine con il Bambino, nel gesto di benedire con la mano destra e con un rondinino nella sinistra, mostra sorprendenti similarità con il trittico situato nel Salone della Canonica. Quest'ultimo, attribuito alla scuola fiorentina del XIV secolo, presenta anch'esso la Madonna col Bambino al centro, affiancata dai Santi Pietro e Paolo. Si può ipotizzare che gli autori del trittico avessero inteso rifarsi a una iconografia già nota e venerata, come quella della Vergine di Cercina. Tale considerazione porta a supporre che il gruppo ligneo fosse già conosciuto sin dal XIV secolo, sostenendo così l'idea che esso fosse presente nella Pieve prima o durante la creazione del trittico.
Ci sono anche diverse teorie sull'origine e l'epoca di realizzazione della scultura lignea, che sembra risalire al periodo tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo. Tuttavia, le origini storiche di questa sacra Immagine rimangono avvolte nel mistero, con racconti tradizionali spesso vaghi e contraddittori(15). La versione ritenuta più attendibile, sebbene soggetta a interpretazioni diverse nel corso del tempo, è quella fornita da Messer Ludovico del Conte Ugolino di Niccolò Martelli (1450-1496), Pievano di Cercina, che narra di un presunto viaggio della Sacra Immagine da Roma verso la Francia, al seguito di un legato pontificio non meglio identificato, durante il quale la soma che la trasportava deviò inaspettatamente verso la Pieve. Qui, il mulo, una volta che fu scaricata l'Immagine, si piegò a terra dinanzi ad essa, suscitando grande stupore tra i presenti. Questo racconto, documentato nel 1489 e rinvenuto nell'archivio della famiglia “da Castiglione”, si basa principalmente sulla tradizione popolare, piuttosto che su prove concrete. Si ritiene che solo un attento studio del gruppo ligneo e delle vicende storiche legate alla famiglia da Castiglione, con probabili implicazioni nella traslazione dell'Immagine, potrebbe portare a una comprensione più accurata circa la provenienza e la data di realizzazione dell'opera. Nonostante gli studi autorevoli già esistenti, gli esperti sono divisi sulla localizzazione della scultura: alcuni optano per la Scuola Umbra, altri per quella Toscana, e alcuni addirittura per la Scuola Romana.
L'immagine della “Madonna” di Cercina è stata oggetto di grande venerazione e devozione da parte dei fedeli nel corso dei secoli ed è stata meta di numerose processioni, pellegrinaggi e di visite da parte di Confraternite e Compagnie religiose nonché di uomini illustri, di Prelati e anche di un Pontefice. Memorabile è la visita fatta nel 1452 dall'Arcivescovo Fiorentino S. Antonino Pierozzi(16), ricevuto da Messer Francesco di Bernardo da Castiglione, che era suo segretario particolare e, nello stesso tempo, Pievano di S. Andrea a Cercina. Altra visita di grande rilievo fu quella fatta da Papa Leone X(17), Giovanni dei Medici, il 13 Gennaio del 1515, al tempo in cui era Pievano Messer Francesco di Dante da Castiglione. Anche Papa Leone X, come aveva già fatto l'Arcivescovo Pierozzi, soggiornò nella Villa dei Castiglione ospite della famiglia Catellini. La stanza che ospitò i due illustri personaggi fu in seguito trasformata in oratorio, tutt'ora esistente, e fino a pochi decenni or sono aperta al pubblico.
L'intero complesso Pievano fu oggetto in pieno periodo rinascimentale di importanti e pregevoli lavori di abbellimento all'esterno ed all'interno. La facciata principale, romanica, venne arricchita e resa ancor più armoniosa dalla costruzione del portico (forse in sostituzione di uno precedente) costituito da quattro archi a tutto sesto sorretti da snelle e piacevoli colonne ioniche in pietra serena poggianti su un basso parapetto in muratura di pietrame. Fig.11
Più o meno alla stessa epoca può essere fatta risalire anche la
realizzazione del bellissimo portale centrale di accesso alla chiesa,
scolpito in pietra serena, con ricco ornato di festoni e foglie di
quercia e ghiande, sormontato da un proporzionato frontone sorretto
da mensole con voluta
.
Fig.12
L'interessante opera rinascimentale è stata attribuita allo scultore Andrea Cavalcanti detto Buggiano (1412-1462)(18) al quale viene attribuita, sembra, anche la realizzazione del grande lavabo in pietra e del caminetto collocati nella sala grande della canonica. Comunque, è da registrare come successivamente, altri studiosi, abbiano espresso un parere diverso circa tale attribuzione, ravvisando nelle medesime opere scultoree i caratteri stilistici riconducibili al maestro di Francesco di Simone Ferrucci che, sempre a loro dire, avrebbe realizzato decorazioni simili anche presso la Badia Fiesolana. Nello stesso salone sono altresì da ammirare due affreschi pregevoli in terra verde: uno rappresentante l'Ultima Cena e l'altro il Giudizio di Salomone, entrambi di buona mano, attribuiti al pittore Stefano d'Antonio di Vanni (1405-1483) che fu aiuto di Bicci di Lorenzo (1420)(19). All'interno della chiesa, si può osservare un impianto a tre navate, con quella centrale più ampia rispetto alle due laterali. Le navate sono suddivise da pilastri quadrati a bozze di pietra alberese accapezzata, sui quali si ergono gli archi a tutto sesto, i cui conci sono alternati tra pietra chiara o rosa-rosso. Successivamente, furono costruite le volte a crociera sulle due navate laterali. Queste navate vennero poi abbellite in modo magnifico da due importanti artisti: Domenico Bigordi (1449-1494) noto come “ Ghirlandaio” (20), che decorò una delle due navate, mentre l'altra fu decorata da Bernardino Barbatelli (1548-1612) conosciuto come “Poccetti ”. Quest'ultimo fu allievo di Michele di Ridolfo Ghirlandaio e di Bernardo Buontalenti.
Nel '700 venne modificata l'abside(21) demolendo quella romanica originale a pianta semicircolare con chiusura ad arco a sesto acuto, sostituendola con quella a pianta quadrata, ancora attualmente visibile. Nel 1834 vennero stuoiati, con archi tondi, i soffitti delle tre navate in modo da nascondere le travature del tetto(22). La spesa per tale opera (500 scudi) venne in parte sostenuta dalla Società “dei 40 Fiorentini” che attualmente ha sede in alcuni locali della parte terminale della Canonica. In questo periodo vennero eseguiti altri lavori, tutti chiaramente peggiorativi (le chiusure di alcune finestre nel campanile, l'inserimento di una statua di S. Giuseppe all'interno della nicchia simmetrica a quella nella quale è alloggiata la Madonna, la costruzione, di conseguenza, di pareti posticce che occlusero la visione dell'affresco del Ghirlandaio, etc.).
Solo con i restauri del '900(23) vennero rimessi in luce gli originali affreschi, venne risistemato il campanile e tolte tutte le sovrastrutture esistenti sull' originale muratura in filaretto all'interno della chiesa. Venne tolto il coro ottocentesco facendo riaffiorare il sepolcro seicentesco che esso celava. Furono tolte le stuoiature dai soffitti ed eliminata l'apertura rettangolare sul frontone della chiesa ripristinandovi l'originale “occhio” circolare. Furono anche riaperte le tre finestre romaniche su ogni lato della navata centrale, tamponate durante i precedenti lavori. Gli ultimi lavori eseguiti dalla Soprintendenza ai Monumenti di Firenze hanno permesso la risistemazione del chiostro, la rintonacatura dell'intero complesso, esclusa la parte della canonica, la revisione totale dei tetti ed il perfetto recupero di alcuni locali posti sotto il livello della pieve nei quali si tenta di organizzare una mostra permanente di cose legate alla storia dell' antico complesso.
L'ex chiesa di S. Margherita a Cercina Vecchia, situata a breve distanza dalla più famosa pieve di S. Andrea a Cercina, è un'antica struttura che fa parte di un insediamento fortificato medievale, unitamente ad altri fabbricati rurali. La località, che oggi si trova al di fuori delle vie di comunicazione principali, era un tempo attraversata da un'antichissima strada che, superando il torrente Terzolle con un suggestivo ponte medievale, collegava la pieve di S. Andrea, il castello di Castiglione e il borgo fortificato di Cercina Vecchia alla Via Bolognese e alla strada che conduceva al Mugello. All'interno del Borgo fortificato si trovava anche un monastero di Monache di clausura, dedicato a Santa Maria Madre, che fu annesso al convento di Santa Orsola di Firenze nel 1386 con provvedimento del Vescovo fiorentino Angelo Ricasoli. L'attuale edificio dell'ex chiesa di Santa Margherita, che porta ancora il nome di "Cercina Vecchia", non può essere ricondotto alla costruzione originaria del XII secolo, ma sembra essere stato costruito in epoca relativamente recente sovrapponendosi alle fondazioni o all'impianto della chiesa primitiva. Molti dei materiali utilizzati per la costruzione dell'edificio attuale sono stati recuperati da elementi decorativi dei manufatti preesistenti, alcuni dei quali presentano caratteristiche tra loro eterogenee e riconducibili ad epoche diverse.
L'edificio attualmente esistente è una piccola costruzione in pietra forte e alberese su due piani, situata poco distante dalla Via della Docciola che collega la pieve di S. Andrea alla località di Montorsoli sulla Via Bolognese. L'opera presenta un'apertura centrale che da accesso al locale situato a piano terra, adibito a stalla e fienile. Tale apertura è praticata nella muratura di tamponamento di un precedente e ampio portale la cui architettura, risalente al periodo pre-rinascimentale, è costituita da rimarchevoli piedritti ed architrave in pietra serena, tutt'ora visibili. All'antico portale fu aggiunto, forse in epoca settecentesca, un timpano anch'esso in pietra serena, ben modellato ma in cattivo stato di conservazione, elemento architettonico che risulta estraneo al carattere del portale. Al centro in alto, all'incirca sul punto mediano fra il culmine del timpano del portale e quello del tetto, è posto un "occhio" sicuramente anch'esso risalente all'epoca medievale, costituito da un unico blocco di pietra serena rozzamente squadrato e nel centro è stata praticata un'apertura ovoidale (un manufatto analogo in pietra è collocato nella parte inferiore della muratura del lato est della casa colonica, ubicata nello stesso luogo di Cercina Vecchia e posizionata poco al di sotto dell'edificio della ex chiesa). Il lato della costruzione rivolto verso la valle è sorretto da un barbacane ed è assai più alto del prospetto principale a causa del notevole dislivello esistente fra i due rispettivi piani di appoggio, essendo l'edificio posizionato al bordo di un dirupo. Su quest'ultimo lato trovano posto una finestra situata a livello del vano a piano terra del manufatto ed una seconda a servizio del piano superiore Fig.3a.
Mentre le due facciate laterali sono entrambe caratterizzate dalla
presenza di un arco in mattoni sodi a tutto sesto, inserito nelle
rispettive murature di pietrame. L'accesso al piano superiore,
ricavato in epoca più recente, è assicurato da una scala esterna
addossata ortogonalmente al fianco destro della costruzione,
realizzata in bozze di pietra. Il tetto è a capanna con orditura,
piccola e grossa, in legno, il manto di copertura è in coppi e tegoli
e il piano sottostante in pianelle murate con malta di calce aerea.
Secondo quanto riferito da Carlo O. Tosi, la chiesetta di S. Margherita
vantava, e vanta tutt'ora, una larghezza di braccia 11e1/2 ed una
lunghezza di braccia 12e1/2, cioè una dimensione in pianta dell'ordine
di 6,70 X 7,30 metri, ed era dotata di un campanile, oggi inesistente,
con due campane di circa 300 libbre di peso.
Sappiamo che la chiesa di S. Margherita era una chiesa suffraganea che ha esercitato le sue funzioni almeno fino al 1786, anno in cui è stata soppressa per decreto dell'Arcivescovo fiorentino, che ne era il Patrono. Dopo la soppressione, la popolazione soggetta alla chiesa di S. Margherita è stata affidata alla cura della vicina pieve di S. Andrea. Dai documenti, sappiamo che la chiesa di S. Margherita aveva un'estensione territoriale modesta e una scarsa densità demografica. Nel 1427 il censimento delle anime ha rilevato solo 4 lavoratori maschi su 4 poderi. Alla soppressione, nel 1782, la popolazione era invece di 42 abitanti distribuiti su 7 insediamenti, fra poderi e ville, indicando una scarsa crescita demografica. Un'affresco del Poccetti, situato in una delle 22 lunette del chiostro di S. Marco a Firenze raffigura la visita effettuata dall'Arcivescovo fiorentino S. Antonino Pierozzi alla Pieve di Cercina e fornisce una veduta antica dell'insediamento di Cercina Vecchia. Nell'affresco, si possono vedere sullo sfondo alcune muraglie diroccate attorno ad alcune costruzioni ben delineate. La loro posizione rispetto alla Pieve suggerisce che si tratti dell'antico "Castro" di Cercina Vecchia, che forse già a quell'epoca in fase di decadimento statico. Nella seconda metà del secolo XVIII, il P. Vincenzo Fineschi fornisce ancora informazioni circa gli avanzi di mura del vecchio castello nel luogo di Cercina Vecchia, come indicato nella nota 15, della sua opera "Notizie Istorico-Critiche riguardanti L'antica e Miracolosa Figura di Maria Vergine situata nella Ven. Pievania di S. Andrea a Cercina". L' edificio è stato descritto tenendo conto delle condizioni in cui esso versava negli anni 1975/76, evidenziando che il medesimo, recentemente, è stato oggetto di un'adeguata operazione di restauro, che ne ha preservato le sue peculiarità di manufatto storico, per poi essere destinato ad attività agrituristica.
Infine, è importante notare che l'antico insediamento di Cercina Vecchia, oltre al fabbricato dell'ex chiesa di Santa Margherita, comprende oggi una suggestiva casa colonica, l'edificio residenziale dei proprietari e, soprattutto, una vecchia costruzione che si può identificare come una torre scapezzata del vecchio borgo fortificato. Questa struttura è documentata da una foto presente a pagina 27 dei “Quaderni di studio: Il Medioevo alle porte di Firenze”, curati da Andrea Righetti, ai quali ci si riferisce nel trattato.
L'antica chiesa rurale di S. Maria a Starniano, risalente al XI-XII secolo, è situata su una strada vicinale che attraversa i Colli Alti e si dirige verso l'antica località di Paterno e da qui prosegue, costeggiando il fiume Carzola, fino ad immettersi nella via Bolognese nei pressi di Vaglia. Dall'analisi delle mura rimanenti, si possono ricavare informazioni importanti sulla struttura e architettura originaria della Chiesa. L'edificio era caratterizzato da una pianta rettangolare con un fronte di ml.6,05 e una profondità maggiore, ma non più rilevabile dalle parti sopravvissute. Il prospetto, che si erge per un'altezza di mt.7,60 in corrispondenza del campanile, comprende un'apertura di 1,10 metri per 2,10 metri, architravata con un unico elemento di pietra alberese. È ancora visibile la struttura del campanile a vela, realizzato come il resto della costruzione con conci di pietra alberese e concluso da un arco a tutto sesto. L'alloggio della campana è costituito da un vano di 0,70 metri per 2,10 metri.
La chiesa di Starniano (riportata nella decime degli anni 1302-1303 come S.Marie de Sterliano) era suffraganea della pieve di Cercina e successivamente è stata unita alla stessa pieve con disposizione del 17 agosto 1561, con atto rogato da Ser Gio. di Hebo di Torello de' Carmignani di Poppi Notaio Fiorentino (op. cit. P. Vincenzo Fineschi pagg.110 e 111). Questa decisione fu dettata dal fatto che a quell'epoca la parrocchia contava solo sette 7 famiglie e una bassa rendita annua di circa 30 ducati d'oro. (vedi anche C.O. Tosi - Il Piviere di S. Andrea a Cercina, Sesto Fiorentino 1892, pag.3). Nonostante la suggestione dell'impianto architettonico, l'edificio subì un lento processo di aggressione e deterioramento da parte di fattori ambientali, e anche la parte residua dell'opera è attualmente completamente collassata. Tuttavia sarebbe stato auspicabile un'operazione di restauro conservativo per recuperare la parte restante della struttura all'interno di una nuova costruzione ecclesiastica, anche se oggi la presenza dell'Oratorio di San Jacopo a Ceppeto potrebbe rendere meno urgente la necessità di una nuova chiesa.
L'antico insediamento di Bugliano si trova a nord del castello di Castiglione, in posizione felicemente esposta lungo la strada chiamata "Via delle Palaie" in passato nota come "strada dei Colli". La località di Bugliano, che ha un'origine latina (Bullius) ed è menzionata in un documento della cattedrale di Firenze risalente all'anno 1020. Il documento si riferisce a una donazione fatta da Gherardo Ranieri, un membro della famiglia Cattani di Cercina, alla Canonica di S. Giovanni di Firenze, di alcune proprietà situate in luogo chiamato Bullaro (ora Bugliano o Bulliano), nella Plebe di S. Gerusalemme a Cersino (ora Cercina). La presenza della Chiesa dedicata a S. Martino in questa località è documentata nell'undicesimo secolo, ed era una suffraganea della Pieve di Cercina e una Sede di Popolo. Nella seconda metà del XV secolo, fu costruito un oratorio e un eremo adiacente alla Chiesa, sotto il titolo di S. Girolamo e S. Maria Maddalena, dal allora parroco di Cercina, il Dott. Antonio de' Picchini. L'eremo fu di breve durata, in quanto poco dopo fu annesso alla chiesa di S. Martino su iniziativa di Francesco di Dante da Castiglione, Rettore della chiesa, e con espressa rinuncia al privilegio del suo primo eremita, Fra Girolamo di Matteo d'Altomena. La chiesa rurale e la sua gente, che consisteva di otto unità famigliari (circa 70 persone) nel 1427, ebbero ancora un periodo di autonomia, ma furono poi definitivamente incorporate nella pieve di S. Andrea a Cercina, con rogito del 23 Agosto 1519, redatto dal Notaio Ser Raffaello di Miniato di Mattia Baldesi, durante il Pontificato di Leone (op. cit. P. Vincenzo Fineschi, Pagg. da 102 a 108). La chiesa fu successivamente sconsacrata e trasformata in un edificio rurale, e nel 1782 i parroci di Cercina vendettero la proprietà ai marchesi di Castiglione.
Attualmente, il complesso consiste in due edifici fuori terra e di un
ampio locale interrato ottenuto attraverso la costruzione di un muro a
retta per creare il cortile-aia di fronte all'edificio, essendo il
campo antistante al medesimo di circa 3 metri più basso.
Il primo edificio, originariamente destinato a chiesa e romitorio sino
dall'XI secolo, è stato poi trasformato in complesso rurale. Ha il lato
minore rivolto verso la strada, mentre il secondo edificio,
costruito relativamente di recente, si trova alla sua destra (lato est).
Quest'ultimo edificio potrebbe essere stato eretto inizialmente come
fienile e ora è destinato a contenere alcuni piccoli macchinari mobili
per le modeste attività agricole svolte dai proprietari e come deposito
di minutaglie. Esso è costruito in muratura di pietrame con alcuni
particolari in mattoni sodi, ha il tetto a capanna, l'orditura è in
cemento armato di recente sistemazione e il manto di copertura in
marsigliesi. Il locale interrato, di costruzione meno recente del
precedente, originariamente destinato a concimaia, viene ora utilizzato
come deposito coperto per attrezzature mobili di poco valore (carretti,
pale, secchi e etc.).
L'edificio più antico ha subito diverse modifiche nel corso del tempo,
ma ha mantenuto pressoché intatte le sue caratteristiche d'impianto e
volumetriche.
Sono stati aggiunti il portico d'ingresso ed una piccola "porzione di
fabbricato" alla destra del prospetto principale, mentre sono stati
demoliti l'abside semicircolare (cm 120 circa di raggio) ed un piccolo
locale sul retro
Fig.6c - Particolare delle vecchie murature del lato nord - Foto
1976.
Le tracce della vetustà dell'edificio si notano sia nei brani di
muratura in pietra alberese accapezzata che affiorano sul prospetto
principale, sia in tutto il resto della costruzione che è perfettamente
conservata. Al piano terreno sono collocati i locali di deposito a
cantina, mentre al primo piano ci sono i locali di abitazione. La
copertura del fabbricato e' a capanna con l'orditura in legno e il
manto di copertura in coppi e tegoli.
La chiesa di San Michele a Castiglione (nelle decime degli anni 1302-1303 è riportata come S. Micchaelis de Castillione) fa parte di un complesso ecclesiastico di modeste dimensioni che comprende alcune stanze per la canonica e altri servizi. La chiesa, costruita originariamente in stile romanico alla fine del XIII secolo, mantiene ancora oggi molte delle sue caratteristiche originali, come il rosone circolare sulla facciata principale, le piccole aperture laterali per la luce e le pareti perimetrali in pietra di alberese. Inizialmente, la chiesa si trovava all'interno del vicino castello di Castiglione e quando la famiglia Catellini riacquistò il castello nel 1297, demolì vari edifici, tra cui la piccola chiesa in rovina, senza chiedere l'autorizzazione ecclesiastica dell'epoca. Per questo motivo, la famiglia Catellini ricevette una reprimenda dall'Arcivescovo fiorentino Francesco degl'Atti e dovette ricostruire la chiesa, a proprie spese, nelle immediate vicinanze del castello. La buona fede della Famiglia Catellini fu dimostrata e punita solo con una sanzione pecuniaria di 450 fiorini a favore della chiesa, che fu consacrata dallo stesso Arcivescovo fiorentino Francesco nel 1301. La famiglia Catellini mantenne il patronato che già aveva sulla chiesa fino al XVI secolo, quando dovette condividerlo con i Capitani di Parte. Nel corso dei secoli, la chiesa ha subito diverse modifiche e ampliamenti, tra cui l'annessione del territorio della vicina parrocchia di Santa Maria a Urbana nel XV secolo (riportata nelle decime anche come S. Marie de Urbano). Nel 1427, il censimento delle anime ha rivelato la presenza di soli cinque uomini lavoratori distribuiti su quattro nuclei colonici. Nel frattempo, alla fine del XIX secolo, come attestato nelle annotazioni di Carlo Odoardo Tosi riguardo al "Piviere di S. Andrea a Cercina", il Popolo di S. Michele contava ventisei famiglie, tutte impegnate nell'agricoltura. Sul suo territorio si trovavano ventiquattro poderi, che certamente includevano anche quelli un tempo associati al Popolo di S. Maria ad Urbana. Questi poderi occupavano una superficie montana totale di 1.440.115 metri quadrati, suggerendo una scarsa espansione demografica.
Più recentemente, è stato costruito il locale retrostante la chiesa, che veniva usato dal personale della Misericordia di Firenze addetto al soccorso montano. Infatti, sull'architrave della porta d'ingresso di quest'ultima porzione di fabbricato è collocato lo stemma della stessa Misericordia recante la data del 1915.
L'intero complesso è perfettamente integrato nell'ambiente circostante e gode di eccezionali condizioni panoramiche. La sua posizione rispetto alla vallata sottostante è preminente ed è collegato sia a Via della Docciola che alla più vicina Via della Fontaccia tramite strade locali. La chiesa attualmente è un edificio rettangolare a navata unica, con tetto a capriate in legno e una lunghezza di circa 13,20 metri. Il pavimento della chiesa è fatto di mattonelle in gres rosso posate a spina, mentre il coro e il presbiterio sono pavimentati con mattonelle di cotto disposte a "coltello"
Il presbiterio è rialzato e delimitato da un ricorso in pietra sagomata che forma due gradini. Al centro di ciascuna delle pareti laterali si trova un altare; su quello di sinistra c'è un affresco di buona qualità, probabilmente risalente al XVIII secolo. La chiesa presenta attualmente un campanile a torre quadrata di metri 2,5 di lato, che è stato verosimilmente ricostruito in epoca successiva; in origine, invece, il complesso religioso doveva essere dotato di una cella campanaria a forma di vela. Gli ambienti di servizio in parte orientati ortogonalmente alla chiesa e raccolti in un volume rettangolare a due piani. Gli attuali confini parrocchiali si estendono sostanzialmente nella parte settentrionale della Valle del Terzolle e sono delimitati da diverse strade. La chiesa è stata fino agli ultimi decenni in uso, e la sua esistenza e ristrutturazioni sono attribuite al mecenatismo della potente famiglia Catellini, il cui stemma è visibile, ben esposto, in alto, sulla facciata della chiesa e all'interno della stessa, più precisamente è raffigurato all'interno del suddetto affresco.
La chiesa sorge in località "Ceppeto" lungo il percorso panoramico dei Colli Alti, ma in posizione defilata, rispetto al transito stradale. Dai pochi documenti storici che ci sono giunti, a volte anche discordanti, si apprende che già nel XI secolo in questa zona sarebbe stata presente una chiesetta parrocchiale dedicata a "S. Maria de Ceppeto", che effettivamente risulta elencata tra le chiese suffraganee della Pieve di Cercina nelle decime degli anni 1295-1304. Successivamente, nel corso dei secoli, dopo che la chiesa era stata soppressa perchè in rovina, il suo piccolo territorio fu annesso, prima a quello di S. Maria a Starniano secondo alcuni storici, mentre secondo altri fu invece unito al popolo di S. Michele a Castiglione e poi definitivamente posto sotto la diretta dipendenza della Pievania di Cercina. In seguito, secondo alcuni studiosi, tra cui il Mons. C.C. Calzolari, in questa stessa località di Ceppeto fu poi eretto un tabernacolo votivo in onore di San Jacopo e solo successivamente, intorno alla metà del XVI secolo, l'attuale Oratorio prese forma come trasformazione ed espansione dello stesso tabernacolo.
Questa supposizione trova supporto nell'analisi della configurazione strutturale del piccolo edificio e nell'iscrizione situata sotto l'altare. Tale iscrizione indica che l'attuale struttura architettonica è il risultato di un ampliamento di un luogo di culto preesistente, effettuato per volere della famiglia Catellini di Castiglione, che deteneva il patronato. I lavori di ampliamento non solo miravano a migliorare le condizioni per la pratica del culto in un'area così marginalizzata, ma erano anche finalizzati a amplificare la profonda devozione popolare verso la Vergine Maria, Madre di Dio, la cui figura rappresentava un messaggio consolatorio fortemente avvertito dalla comunità. Questa intenzione si evince dalla natura dei preziosi affreschi che adornano la nicchia dell'altare, in cui è raffigurata la Vergine con Bambino, un elemento non casuale. Gli affreschi, probabilmente realizzati nello stesso periodi dell'ampliamento dell'oratorio, intorno alla metà del Cinquecento per volere dei Catellini di Castiglione, sono ulteriore testimonianza di questo importante progetto, come indicato dall'iscrizione sottostante l'altare.
Si può supporre che questo luogo di culto abbia avuto un ruolo importante lungo la strada che attraversava la Valle del Terzolle, collegando la pianura fiorentina al Mugello. L'edificio stesso è di dimensioni modeste, con un fronte di 8,90 metri e una profondità di 14,50 metri. Il portico che protegge il prospetto principale è sostenuto da due colonne quadrate in pietra alberese e offre un punto di sosta per i viandanti e i fedeli. La struttura è realizzata con diverse tipologie di pietra, come macigno, alberese, pietra forte e serena, e mostra segni di vari interventi di restauro nel corso del tempo. Le piccole aperture lungo i prospetti laterali permettono un minimo di luce all'interno, mentre le aperture accanto alla porta d'ingresso, protette da inferriate in ferro, aggiungono dettagli decorativi alla facciata e attraverso le quali i fedeli potevano rivolgersi all'immagine della Vergine situata all'interno. La porta d'ingresso stessa è rialzata rispetto al suolo e presenta uno stemma scolpito sopra una testa del Cristo sagomata nella pietra. Il pavimento sotto il portico è realizzato con lastre di pietra alberese posate in modo irregolare
All'interno della chiesa, il pavimento è costituito da lastre regolari di pietra alberese sui due lati e da una guida centrale di mattoni posati a spina. L'altare in pietra, di pregevole fattura, è costituito da una "mensa" ottenuta con un'unica lastra di pietra alberese, poggiante su quattro colonnine pure di pietra alberese snelle e piacevoli. Sopra l'altare, sia nella nicchia del ciborio che lateralmente ad essa, sono presenti alcuni affreschi di buona mano e non facilmente databili. Il dipinto in alto, al centro di due drappeggi, è concluso con la raffigurazione dello stemma dei Catellini da Castiglione. Sulla parete di fondo è situato un piccolo campanile a vela in pietra, concluso con un arco a sesto acuto, nel quale trova alloggio una piccola campana. La copertura della chiesa è a capanna con orditura in legno e piano di ammattonato di posa per coppi e tegoli. La copertura del portico è costituita da orditura in legno con manto di copertura di coppi e tegoli. Tutti questi dettagli conferiscono all'edificio un carattere storico e suggestivo, testimoniando la sua importanza nella vita della comunità locale nel corso dei secoli.
Questi due oratori sono situati nel nucleo insediativo di Canonica e
presentano le caratteristiche architettoniche tipiche dei piccoli
edifici di culto del sei-settecento fiorentino. Sono stati costruiti
accanto a due diverse ville padronali, una delle quali è lungamente
appartenuta alla nota casata dei Marzi-Medici e l'altra è stata
appannaggio di diversi proprietari tra cui la famiglia dei Salvatici.
Queste informazioni emergono da documenti storici e planimetrie del
XVII secolo. Tali luoghi di culto sono menzionati anche in altri
carteggi della famiglia dei Marzi-Medici, conservati nell'Archivio
Naldini del Riccio di Firenze. Questi documenti includono uno schizzo
di pianta indicante i proprietari di ville e casali che nel corso del
XVII erano tenuti a far provvedere alla celebrazione della Santa
Messa nei giorni festivi in questi oratori.
Fig. 9 -
Fig.10.
E' altresì interessante notare che dalla rappresentazione iconografica
riportata sulla pianta del Popolo della Pieve di Cercina dei Capitani
di Parte Guelfa, risalente alla seconda metà del XVI secolo, si può
dedurre l'esistenza della vecchia “chiesa di calonicha”, già prima
della realizzazione delle suddette cappelle padronali.
Questo antichissimo edificio religioso, oggi scomparso, potrebbe essere
stato situato nelle vicinanze dell'attuale fabbricato rurale
individuabile con quello denominato il “Ciampello”.
Purtroppo non ci sono altri elementi concreti che confermino
l'esistenza di questa antica chiesa rurale o che forniscano indicazioni
sulla sua sorte nel corso del tempo. Possiamo solo ipotizzare che
la chiesetta sia scomparsa per incuria del tempo oppure sia stata
demolita durante i lavori di ampliamento della succitata Villa Marzi
Medici (oggi Villa Maragliano) effettuati nei primi del XVII secolo.
Fig.13
-
Conseguentemente, potremmo supporre che sempre durante i lavori di ampliamento della Villa dei Marzi Medici possa essere stato edificato ex novo l'adiacente oratorio di San Cristofano, forse proprio in sostituzione della demolita chiesa originaria di Calonica. Infatti, una targa in pietra posta a testimonianza delle opere di recinzione dell'intero complesso architettonico nel 1602 fa menzione di un'area dedicata ai giochi dopo la cura delle anime nei giorni di festa, suggerendo verosimilmente la presenza di una chiesa officiante nelle vicinanze. Successivamente la cappella di San Cristoforo ha subito miglioramenti e arricchimenti agli inizi del XVIII secolo per opera di Michele di Cristofano Marzi Medici, come esplicitamente riportato su una seconda targa affissa sulla facciata della Villa nel 1716. Peraltro, alcune carte dell'Archivio Storico delle famiglie Naldini e Marzi-Medici, datate tra il 1681 e il 1711, testimoniano nuove controversie, questa volta, tra i Marzi-Medici e i Salvatici riguardo all'Uffiziatura presso la Cappella di Canonica. Questo conferma sicuramente l'operatività della Cappella di San Cristoforo tra la fine del XVII secolo e i primi anni del XVIII secolo.
In conclusione, l'insieme di documenti storici e rappresentazioni cartografiche risalenti a epoche diverse forniscono un quadro affascinante e complesso della storia di Canonica e delle sue due cappelle padronali. Queste testimonianze ci permettono di penetrare nel passato di questo luogo, di coglierne le trasformazioni nel tempo e di immaginare la vita e le pratiche religiose della comunità che qui abitava. La presenza di queste cappelle, legate alle famiglie nobili che si succedettero nel possesso delle terre circostanti, ci racconta di un passato di devozione e di potere che ancora oggi si riflette nella loro rilevanza architettonica e nel loro significato simbolico per la storia e l'identità di questo borgo rurale.
Referenze Fotografiche
1.
La Charta Judicati si conserva presso l'Archivio Capitolare di S.
Maria del Fiore a Firenze – Vedi: Piattoli R., Regesta
Chartarum Italiae – Le Carte della Canonica della Cattedrale
di Firenze, Roma, 1938, Pagg. 15 e segg., n.5.
LAMI G., S.E.F.M., Firenze 1758, Tomo II, pag. 1416:
“Rotrunda
religionis velamen, inducta filia quondam Faraoni donat Vuildulprando
filio q. Gansindi quaedam bona ibi ita descripta: Curtes et forte
illa quod habere visa sum (sic ibi loquitur in persona prima) loco
qui dicitur Cersino, ubi Serviano vocatur, qui tenta fuit per
Marinulo Massario, et usque modo Ghisus per beneficium habuit, et
est posita iuxta Plebem Ierusalem, et si unquam vincerentur,
hypothecavit et voluit dictum Vuilduprandum consequi posse pro
dictis bonis donatis tertiam portionem ex cunctis casis et omnibus
rebus suis positis, in loco Septimo aut in Palude. Actum in loco
Cersino, finibus Florentiae, regnante Carolo, divina favente
clementia Rege, Anno Regni eius in Italia primo, die nono mensis
Iulii, Indictione 13”(anno 774)
TRADUZIONE: Rotrunda, preso l'abito religioso, figlia di Faraone,
dona a Vuildulprando figlio di Gansindi, certi beni cosi descritti:
corte e castello e probabilmente quello che mi pare trovarsi nel
luogo che si chiama Cersino (oggi Cercina), dove è chiamato
Serviano, che fu posseduto da Marinulo Massario e fino a che non
l' ebbe Ghiso a titolo di beneficio ed e' posto vicino alla Plebe
di S. Gerulasemme (oggi S. Andrea), e se mai fossero sconfitti,
ipotecò e volle che il detto Vuilduprando potesse conseguire per
detti beni donati la terza parte di tutte le case e di tutti i
beni posti nel luogo Settimo o nella Palude. Atto (stipulato) in
Cersino, ai confini di Firenze, regnante Carlo, con divina
favorevole clemenza del Re, primo anno del suo Regno in Italia,
giorno nove del mese di Giugno, Indizione 13.
2.Lami G., Lezioni di Antichità Toscane, Vol. I, pag. XCVI.
3.Lami G., S.E.F.M., Firenze 1758, Vol. IV, pag. 90.
4.Davidshon R., La Storia di Firenze, Rist. 1956, Vol. I, pag. 108.
5.Piattoli R., op. cit., pag. 54 n. 18 Privilegium Ottonis II Imp. 983 Gennaio 25. Matera; pag. 109-110 n. 39 Privilegium Corradi II Imp. 1037 Luglio 10. Verona.
Infatti, in un "privilegio" del 25 gennaio 983 dell'Imperatore Ottone II conferma alla Canonica della Chiesa Fiorentina, i suoi possessi, fra i quali la Pieve di S. Gerusalemme di Cersino. Come, del resto, farà successivamente l' Imperatore Corrado II che con un privilegio del 10 Luglio 1037 conferma ancora fra i beni della canonica di Firenze la medesima Pieve.Piattoli R., op. cit., pagg. 139/140 n.52 Breve Securitas. 1050 Marzo 28. Firenze.
LAMI G., S.E.F.M. op. cit., Tomo II, pag. 1422:
“Ateberga
filia b.m. Azzi quae fuit coniux Rodulphi filii b.m. Acti in lecto
iacens infirmitate detenta, in praesentia Ioannis Notarii, Sitii
filii …..... ecc. et aliorum, pro salute animae suae
offersionis nomine tradit Martino Presbytero, et misso a Rolando
Praeposito et suis fratibus regularibus Caninicae S. Ioannis
Florentiae pro dicta Canonica, integram sortem et rem positam in
loco Cornito propre Cersino infra territorium Plebis
S. Ierusalem de Cersino cum pacto, quod si Gherardus Episcopus
Florentinus vel iesus successores de potestate dicti Praepositi, et
suorum confratum, auferret abque volutate eorum, tunc propinquiores
consanguinei possit eam pro anima Ateberghae alteri concedere. Anno
ab Incarnatione 1050 et Imperi Enrici quarto, 5 Kal. Aprilis
Indictione 3”.
TRADUZIONE: Ateberga figlia di Azzo, che fu moglie di Rodolfo, figlio
di Atto, giacente a letto, malata, in presenza del Notaio Ioannis figlio
di Sitio e di altri, cedette a titolo di offerta per la salvezza della
sua anima al Presbitere Martino e all'inviato dal Proposto Rolando e ai
suoi fratelli regolari della Canonica di S. Giovanni di Firenze, a favore
della detta Canonica, l'intera fortuna e i beni posti in luogo detto
Cornito presso Cersino fra il territorio della Plebe S. Ierusalemm
di Cersino alla condizione che, se Gherardo Episcopo Fiorentino o i (suoi)
successori del detto Preposto e dei suoi confratelli agissero contro la
sua volonta', allora i parenti più vicini possono concedere quella fortuna,
a vantaggio dell'anima di Ateberga ad altri. Anno 1050 dell'Incarnazione
e anno quarto dell'Impero di Enrico, 25 marzo.
6.Lami
G., S.E.F.M. op. cit., Tomo II, pagg. 225 e segg., cosi e' riportato:
“
dalle scritture della Badia di San Michele Arcangelo
di passignano, tra le altre cose si legge a carte 52, questo
trasunto di antico strumento dell'anno 1050. “Teunzo,
qui Rustico Vocatur filius b.m. Iannis vendit Rodulfo filio b.m.
Sifridi Curtem, e Castellum in loco Rifini, Curtem e Castellum in
loco Figline, Curtem, e Castellum in loco Petriolo, Curtem, e
Castellum in loco Cersini, Curtem, e Castellum in loco Cerrito,
Curtem, e Castellum in loco Morcanello, e sunt posit. in Pleb. S.
Ioannis sit. Caprilia, S. Romuli Sit Cortule, S. Viti sit
Schergnano, S. Martini sit. Brozzi, S. Andrea sit Cersino, S.
Crisciu sit. Carza, S. Petri sit. Vaglia, S. Severi sit. Sigari, e
S. Gavini sit. Tassoclo pro pretio recipit Nusca de auro una, pro
valiente lib. Decem. Actum Figline Iudicaria Florentina”.
Il documento inedito datato 25 luglio 1050 (o 1051 secondo
E. Repetti) segna il momento in cui la chiesa di Cercina viene
ufficialmente dedicata a S. Andrea, nome che mantiene tuttora.
In quel frangente, Teuzzone, noto come Rustico e figlio del
defunto Giovanni di Figline, vende a Ridolfo, figlio di
Sigifredo, una serie di beni che aveva acquisito quel giorno
dai frati Sigifredo e Bulgaro, figli del compianto Ridolfo,
suocero della famosa Waldrada. I beni in questione comprendevano
corti, castelli, chiese, diritti, servi e ancelle, ubicati in
varie località, tra cui i castelli e i distretti di Riofino
nel piviere di Cavriglia, Fighine nel piviere di Gaville,
Petriolo nel piviere di Brozzi, Cerreto nel piviere di
S. Pietro a Vaglia e Cersino nel piviere di S. Andrea, oltre
ad altre aree circostanti.
È interessante notare che, precedentemente, il 24 aprile 1042,
la nobildonna Waldrada aveva già venduto a suo figlio Ridolfo,
con il consenso del suo secondo marito Sigifredo e del suo
attuale suocero Ridolfo, tutte le proprietà di Firenze, Petriolo,
Sesto e Val di Marina, inclusa la sua corte e il castello
situato a Cersino. Repetti E., Dizionario Geografico
Fisico, Storico della Toscana, 1833, Tomo I pag. 500 ( Riporta
l'indicazione (25 Luglio) con l'anno 1051);
7.Lippi A., Storia di una Pieve del Contado Fiorentino (Cercina e la Valle del Terzolle), Firenze, 1968, pag. 31.
8.Fiumi E., Fioriture e decadenza dell'economia fiorentina, in “Arch. Stor. Ital.” CXVI, anno 1958, pagg. 473 e 474.
9.Carrocci G., I dintorni di Firenze, Vol. I, pagg. 256-257 e 259, Roma 1968;
Moreni D., Notizie istoriche dei contorni di Firenze, Vol. I, pagg. 43 - 44 - 45 e segg., Roma, 1972 (riedizione).
10.Carocci G.,op. Cit., pagg. 247-249-250 e 251.
11.Carte de' capitani di Parte Guelfa – Il Popolo di S. Andrea a Cercina.
12Tosi Carlo O., Il Piviere di S. Andrea a Cercina, Sesto F.no, 1982, pag.3.
13. Fineschi V., Notizie istoricho critiche riguardanti l'antica miracolosa figura di Maria Vergine situata nella Ven. Chiesa Pievania di S. andrea a Cercina nuovamente date in luce con annotazioni e correzioni del P. Vincenzo Fineschi, Firenze, 1795, presso P. Allegrini – con Lic. De' Sup. Cap II, pagg. 18 – 25.
14.Fineschi V., op. cit., Cap. II, pag.18.
15.Conti Francesco M., Notizie istoriche dell'antichissima e miracolosa Immagine di Maria Vergine di Cercina, 1724, Cap. IV pagg. 32 – 36 e Cap. VI pag.49.
16.Cantini L., Memorie appartenenti alla Vita di S. Appiano e notizie istoriche dei Signori Catellini da Castiglione Patrizi Fiorentini Marchesi di Birago e Cavacurta. Firenze,1829, pag. 25.
17.Lippi A. op. cit., pag.66;
Cantini Lorenzo, op. cit., pag.26;
Fineschi Vincenzo, op. cit., pag.58;
Tosi Carlo odoardo, op. cit., Il Piviere di S. Andrea a Cercina, Sesto F.no, 1892, pag. 2;
Varchi B., Storia Fiorentina (1433 – 1537) Firenze, 1963 – Libro I, pag. 41 (ristampa).
18.Berti Toesca E., La Pieve di Cercina. Dedalo, 1930, pag. 502 e seg..
19.Procacci U., Sinopie e affreschi, Firenze, pag. 234.
20.Berti Toesca E., Un affresco di Domenico Ghirlandaio – Bollettino d'arte del Ministero della Pubblica Istruzione, Anno VI, Luglio 1926, pag. 30 e seg..
21Fineschi V., op. cit., pag. 98.
22.Lippi A. op. cit., pag. 38 – 42.
23.Lippi A. op. cit., pag. 38 – 42.